Santa Maria della Pietà
Dal transetto sinistro della chiesa di San Mauro si accede all’oratorio di Santa Maria della Pietà. Questa grande cappella appartiene alla Arciconfraternita della Pietà, un’associazione di laici nata a Casoria ai primi del Cinquecento, come testimoniano alcune epigrafi in marmo.
La struttura è ricca di opere d’arte. Sulle pareti sono collocate sei tele del Settecento, di autore ignoto. A destra, intervallati dai finestroni, la prima ha come soggetto la Maddalena penitente, mentre il secondo raffigura la Vergine Maria che dà la cintura a Santa Monica. L’Arciconfraternita, infatti, aveva una particolare devozione per Santa Monica, e godeva di un particolare indulgenza detta appunto “della cintura di Santa Monica”. Sulla parete sinistra sono collocate quattro tele, che raffigurano nell’ordine: la Madonna Addolorale; San Francesco Saverio che insegna le verità della fede a varie persone vestite alla foggia dei cinesi giapponesi e altri popoli orientali; la Madonna del Rosario tra San Domenico e Santa Caterina; e infine l’Annunciazione a Maria.
La grande tela dell’altare riproduce un quadro del famoso pittore Giuseppe Ribera, detto lo Spagnoletto, che raffigura la Pietà.
Gli affreschi di Pietro de Martino
L’ampia cappella – larga 6 e lunga 14 metri – è coperta da una volta a botte interamente affrescata con tre grandi scene della vita di Cristo. Il ciclo pittorico è opera di Pietro De Martino, già autore delle grandi tele del soffitto a cassettoni della basilica di San Mauro. La parete di fondo è dominata dall’imponente scena del “Calvario” datata 1699, purtroppo compromessa dalle infiltrazioni d’acqua. Lunga sei metri, la composizione ha una straordinaria armonia. I sentimenti della scena sono rappresentati con grande ed efficace manierismo. Un cielo cupo avvolge il desolato paesaggio della crocifissione, con Cristo in mezzo ai due ladroni. A destra, sotto la croce, è raffigurato il gruppo delle donne, sconvolte dal dolore. Non manca un certo realismo nei particolari, come i soldati a cavallo e il cane che guarda la scena.
Meno compromessi appaiono gli affreschi della volta, che hanno per soggetto altri episodi della vita di Gesù. Il grande riquadro centrale raffigura “Gesù tra i dottori nel tempio”, soggetto poco frequentato, di cui De Martino offre un’originale interpretazione riuscita fin nei minimi particolari. Gli altri due dipinti, animati da vivaci colori, rappresentano invece “Gesù caricato della croce” e la “Presentazione di Gesù al Tempio”
L’intero perimetro della cappella è percorso dai banchi di legno in cui sedevano anticamente i confratelli. Lo scopo principale della confraternita era quella di celebrare insieme le festività – dalla messa domenicale alle feste più solenni – ma soprattutto, di dare sepoltura ai loro morti. Come per la altre cappelle della chiesa, infatti, anche quella della Confraternita della Pietà serviva da cimitero per le famiglie che ne facevano parte.
La Confraternita prestava anche tutti quelli che oggi definiamo “servizi funebri”. Scendendo nei sotterranei della cappella, infatti, si può osservare la bara di legno, finemente decorata, che veniva utilizzata per il trasporto dei defunti. Una volta giunti nella cappella, i corpi potevano essere sotterrati nelle fosse del primo grande locale sotterraneo, in quella che veniva comunemente chiamata “Terrasanta”.
I posti per la sepoltura, tuttavia, non sono molti; ed esisteva un altro modo, ben più macabro, di “trattare” i morti. Passando nella seconda stanza sotterranea, infatti, si notano subito le nicchie ricavate nelle pareti: qui venivano posti per diverse settimane i cadaveri a “scolare”, cioè a perdere i liquidi e ad essiccarsi. A questa usanza, tutta napoletana, si ricollega anche il brutto nome dello “schiattamuorto”, un addetto che doveva punzecchiare i cadaveri per favorire la “scolatura”. Quando erano completamente secchi, i corpi venivano poi buttati in uno dei due profondi pozzi, tuttora visibili, al centro della stanza.
Questi servizi funebri, che erano necessari ed indispensabili, venivano considerati anticamente delle “opere di pietà”. A questo, si deve il nome della confraternita, che era composta dalle più importanti famiglie cittadine, e che aveva un ordinamento morale molto severo e rigoroso. Nei sotterranei sono ancora visibili due grosse “pietre della vergogna” che venivano appese al collo di chi si macchiava di qualche colpa. E anche l’intero ciclo di affreschi del soffitto – commissionato nel 1689 dal priore Carlo Galluccio , sindaco di Casoria – dal rito della circoncisione fino alla crocifissione, indicano le tappe di una crescita morale e spirituale a cui i confratelli dovevano ispirarsi.
La Pietà, copia dello Spagnoletto
Sullʼaltare, al centro di un prezioso panneggio a stucco, fa bella mostra di sé una pregevolissima copia della “Deposizione di Cristo dalla croce”, capolavoro del famoso pittore Giuseppe Ribera (1591-1652), detto “Lo Spagnoletto”.
L’opera originale si trova nella Cappella del Tesoro Nuovo, attigua alla Sacrestia della Certosa di San Marino. Fu realizzata nel 1637 e raffigura il Cristo morto, schiodato dalla croce, sorretto da San Giovanni. La Maddalena gli bacia i piedi, mentre Maria guarda al cielo con dolore. Nell’ombra si intravede Giuseppe d’Arimatea. Ombre e chiaroscuri della scena risentono evidentemente del nuovo stile introdotto in quei decenni dal Caravaggio.
La tela di Casoria è certamente una delle più belle e riuscite copie tratte dall’originale dello Spagnoletto. Seppure non firmata, potrebbe probabilmente essere opera di Pietro De Martino, autore del ciclo pittorico del soffitto dell’Arciconfraternita e della basilica di San Mauro.
L’Archivio Storico
L’Archivio storico dell’Arciconfraternita della Pietà custodisce diversi documenti di un certo interesse per le fonti della storia locale. Il volume più antico è la copia del 1611 dei cinquecenteschi Capitoli per il governo della Compagnia della Pietà, che raccoglie le regole amministrative, ma anche interessanti notizie, come l’esclusione dei peccatori (inquisiti ed eretici, concubinari, usurai, bestemmiatori); e la singolare cerimonia del 26 dicembre, quando i confratelli che non avevano osservato una buona condotta morale venivano pubblicamente “puntati” per le loro colpe, ed esemplarmente puniti con una penitenza. Una grande Platea del 1693 raccoglie tutte le notizie della cappella di S. Giuseppe nella chiesa di S. Mauro, fondata a metà del Seicento da Giuseppe di Natale (a cui è dedicata una lapide del 1650), che fu sindaco di Casoria e priore della Congrega della Pietà. Oltre i fondi per la celebrazione di messe e il governo della cappella, Di Natale istituì dei “maritaggi”, di 30 ducati, per finanziare ogni anno la dote di 7 ragazze povere del paese. Nel 1757, per adempiere agli obblighi di legge dettati da Carlo di Borbone, furono redatte delle nuove Regole e fu compilato il Registro di tutt’i beni, rendite e pesi della Venerabile Congregazione di S. Maria della Pietà, dal quale si ricavano molte interessanti notizie fin dal Cinquecento, quando il parroco di San Mauro, Antonio Borrello, lasciò tutti i suoi beni in eredità alla Congrega «perché colla vita esemplare de’ Confratelli allora viventi si recava al Pubblico ogni buon esempio di cristiana pietà»
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